Sotto ai portici a via Nizza
me ne vado tutto intriso
di tristezza, rabbia e stizza,
ma una donna all’improvviso
mi trascina via con sé
nel soppalco di un garage. Io
manifesto il mio disagio
e lei dice: “Vattene”.
Esco, allora, e mi rifugio
in via Goito e gioco a scacchi;
mentre penso l’orologio
fa tic tac tic tac tic tac. Chi
non l’ha mai sentito ignora
quanto sia stressante, quanti
ticchettii contenga un’ora,
quanto quel rumore schianti.
L’orologio è in orario
mentre io non lo sono più;
ma non posso andare a casa.
San Salvario, salvami tu.
Fuori mi offrono una droga
di non grande qualità.
Davanti alla sinagoga
una tipa chiacchiera
disinvolta con l’alpino.
Tiro dritto per di là
mentre scivola a un bambino
dalla testa la kippah.
Il caffè diventa grappa.
Io prendo una birra al Crai
e un passante me la stappa
con i denti: ahi, ahi, ahi.
Un amico sulla spalla
mette il braccio e mi spavento.
“Sta’ tranquillo” dice “scialla”
dopo un po’, però, mi sento
come un pesce in un acquario
e sprofondo, vado giù
dove l’anima non pesa.
San Salvario, salvami tu.
Infilandomi le dita
quasi in gola prendo il litio
e desidero la vita
mentre medito il suicidio.
Un’idea subliminale
scuote e mozza il mio respiro
come un’asma. Tanto vale
stare ancora un poco in giro.
Con lo spirito di Ulisse
che passò Siviglia e Ceuta
sbarro le pupille fisse
sul mio psicoterapeuta
che mi ascolta e resta muto.
Non può rendermi felice
ma vuole essermi di aiuto.
Congedandomi mi dice
di onorare il suo onorario.
Un paziente fa: “Cucù!”
quando allegro mi sorpassa.
San Salvario, salvami tu.
Mi dilungo e mi dilato
e sui volti altrui mi appare
un fantasma del passato.
Forse è il caso di trovare
un lavoro a Bikomimbo.
Ma la bionda e inglese Lotte
ancheggiando balla il limbo
col mio braccio. Un’altra notte
tra figure assurde, astratte.
Chiudo gli occhi e non ci sono.
Ma un portone si apre e sbatte
con il solito frastuono.
L’Ale Sender manda smile
dentro cui mi relego,
mentre Alice e i suoi long island
fanno un arcipelago.
Il mio amico immaginario
dice: “Su, coraggio, su!”
ma la gravità mi abbassa.
San Salvario, salvami tu.
Mentre il tempo scorre e scade
penso agli attimi trascorsi
nel reticolo di strade
che si snodano tra i corsi
su Vittorio e giù Bramante,
dalla ferrovia al Po.
Lì mi sono perso tante
volte e mi ritroverò
tra un “Beviamo?” ed un “Cin cin”.
Una volta, ero da solo,
mi sembrò di scorgere in
un normale tovagliolo
una copia del sudario
con la faccia di Gesù
malinconica e depressa.
San Salvario, salvami tu.
E se proprio non si può,
se la grazia è già finita,
dammi almeno un po’ di vita,
quanto al resto si vedrà.
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